Sopravvive oggi la dimensione rituale del teatro?
Per rispondere a questa domanda è necessario guardare ai piccoli riti del teatro, quelli che accompagnano ancora oggi l’avventura dell’andare in scena.
Primo fra tutti il rito del silenzio. Meraviglioso.
Quando si entra in un teatro la cosa più bella da ammirare è il silenzio. Un silenzio che mette insieme i pensieri di tutti, custodendoli in una collettività protetta.
Il rito è ormai iniziato, un’intera sala tace, le luci si spengono e il pubblico si predispone ad essere protagonista del rito collettivo della rappresentazione. Non tacciono però i pensieri, quelli sono vivi e dirompenti, pronti a scavalcare la soglia del mondo ordinario ed entrare in una magia condivisa.
Il momento dietro le quinte, prima di uno spettacolo, è davvero magico! Le voci del pubblico sembrano ovattate, il palco diventa una cassaforte di emozioni, i colleghi attori hanno gli occhi che brillano alternando emozioni di paura, gioia, stanchezza, fatica, preoccupazione. E i respiri sono profondi e coscienti.
Il pubblico prepara anima e corpo ad essere protagonista di una storia. Perché in teatro tanto chi guarda, quanto chi recita, è protagonista. Una finzione vera.
Diceva Victor Hugo: “Il teatro non è il paese della realtà: ci sono alberi di cartone, palazzi di tela, un cielo di cartapesta, diamanti di vetro, oro di carta stagnola, il rosso sulla guancia, un sole che esce da sottoterra. Ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco”.
Ecco un altro rito. Il rito del gioco “Io credo che sia vero”. Se non ci fosse questo rito, non ci emozioneremmo mai. Proprio a differenza del cinema in cui una scena è stata impressionata sulla pellicola una sola volta, in teatro tutto quello che accade, accade davvero. Non è reale, è vero! Potreste forse dire che davanti a voi non ci sono davvero due personaggi che si stanno innamorando, o un personaggio che sta davvero parlando, o che sta davvero urlando o piangendo?
No! Non potremmo dirlo. In teatro tutto accade mentre lo vediamo.
Un rito ancestrale, che ci riporta direttamente alla catarsi greca, all'immedesimazione, al desiderio e alla necessità di uscire dalla nostra quotidianità per rifugiarci per il tempo della rappresentazione in un mondo nuovo di cui siamo parte fondamentale, tanto quanto attori, tanto quanto spettatori.
Ai miei allievi cerco sempre di far capire l'importanza di entrambi i ruoli. Semplificando dico che gli attori non avrebbero motivo di lavorare senza un pubblico e il pubblico non andrebbe a teatro senza attori che recitano. Quanta responsabilità che abbiamo! Quando viviamo sul palco la storia del nostro personaggio dobbiamo sempre essere coscienti che noi siamo un mezzo importantissimo di accesso al rito della catarsi, che può essere in grado di sconvolgere la vita di qualcuno; e nello stesso tempo quando siamo seduti in sala come pubblico siamo inconsciamente protagonisti di un gioco di rappresentazione, non abbiamo più la nostra vita da gestire, non possiamo cambiare canale come con la tv, ma siamo a disposizione del personaggio che sta vivendo davanti a noi.
Certo, non sono cose così automatiche a volte. Poiché svolge un mestiere vero e proprio, l'attore deve necessariamente avere dietro sé un bagaglio di conoscenza e studio enorme, e nello stesso tempo lo spettatore deve arrendersi alle proprie emozioni e sappiamo tutti quanto questo possa essere difficile.
Ci sono poi altri piccoli riti, quelli degli attori per esempio.
Sono tanti e diversi tra loro. Dalle parole porta fortuna, ad azioni ripetute prima di uno spettacolo.
Io, personalmente, non sono scaramantica e non credo alle superstizioni. E proprio per questo capisco quanto sia magico il mondo del teatro. L’augurarsi buona fortuna con la “parola magica”, il controllare gli oggetti sul palco a sipario chiuso, il posare i vestiti sempre nello stesso posto dietro le quinte, diventano modi di accesso al rito, non scaramanzie. Diventano segni della magia che sta per crearsi.
Un mondo vero, ma non reale, che emoziona. Apparentemente assurdo, ma tangibile. Quindi sì, la dimensione rituale del teatro sopravvive anche oggi. Resta da chiedersi se è rimasta, legata al rito, la funzione terapeutica del teatro.
Il teatro ha ancora una funzione terapeutica?
© Copyright Mariagabriella Chinè
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